Illuminazione nei sistemi TVCC

Premessa

Nei sistemi di videosorveglianza l’illuminazione gioca un ruolo fondamentale, possiamo installare la migliore delle telecamere ma se non le forniamo la giusta sorgente luminosa, visibile o invisibile, quello che otterremo saranno delle immagini poco fedeli e poco utili ai fini del sistema, che ci deve dare la possibilità di prelevare dei fotogrammi ben definiti, tali da poter riconoscere al meglio i tratti somatici di un volto o i numeri di una targa. Nella prima parte dell’articolo cercherò di parlare della luce dal punto di vista fisico, mentre nella seconda vedremo come una corretta progettazione possa portarci dei vantaggi sia in termini di qualità che in termini economici.

La luce

Con il termine luce si intende la regione dello spettro elettromagnetico avente lunghezza d’onda compresa tra i 400 e i 700 nm (nanometri), ovvero tra i 790 e i 435 THz di frequenza. Questo intervallo coincide con il centro della regione spettrale della luce emessa dal sole che riesce ad arrivare al suolo attraverso l’atmosfera. Possiamo immaginare la radiazione luminosa come un flusso di piccolissime particelle che si diffondono in tutte le direzioni seguendo delle linee rette, quando queste particelle incontrano degli ostacoli il loro movimento subisce delle variazioni ed è proprio grazie a queste che gli oggetti si rivelano ai nostri occhi. I fenomeni che possono influenzare la radiazione luminosa sono:

  • L’assorbimento; non tutte le superfici si comportano allo stesso modo quando vengono illuminate, alcune riflettono tutta la luce che ricevono, altre la possono assorbire totalmente o in parte. Come vedremo in seguito queste differenze determinano il colore delle superfici.
  • Diffusione; si ha la diffusione quando la luce, a seguito di uno scontro con delle microparticelle, viene diffusa in tutte le direzioni. Un esempio tipico di diffusione è quello che dà la colorazione blu al cielo, in questo caso la luce bianca proveniente dal sole impatta con le molecole dell’atmosfera, le quali diffondono maggiormente le frequenze vicine al blu lasciando passare le altre.
  • Riflessione speculare; si ha la riflessione speculare quando tutta la luce che investe una superficie, ad esempio uno specchio, viene riflessa. La particolarità di questo tipo di riflessione è che l’angolo di incidenza della luce è uguale all’angolo di riflessione.
  • Riflessione diffusa; si ha la riflessione diffusa quando la luce, tutta o in parte , che investe una superficie viene riflessa in tutte le direzioni. Questo fenomeno è dovuto alle microirregolarità presenti sulla superficie riflettente, la differenza con la riflessione speculare sta appunto nell’angolo con cui viene riflessa la luce noto in un caso casuale nell’altro.
  • Rifrazione; l’esempio tipico che si usa per spiegare il concetto di rifrazione è quello della matita immersa in un bicchiere d’acqua. Se immergete per metà una matita nell’acqua e poi la guardate da una certa angolazione vi sembrerà piegata, questo accade perché la luce diffusa dalla matita prima di arrivare ai nostri occhi attraversa due mezzi, l’acqua e l’aria, con un indice di rifrazione diverso. L’indice di rifrazione è una caratteristica che indica la velocità con la quale un’onda elettromagnetica, la luce in questo caso, si propaga attraverso una sostanza.
  • Diffrazione; quando un’onda che si propaga nello spazio è costretta a superare un ostacolo o a passare attraverso una fenditura il suo andamento subisce delle variazioni, questo fenomeno, che varia in base alle dimensioni dell’ostacolo o della fenditura, è noto con il nome di diffrazione.

Datasheet

Nell’articolo che segue spiegherò come leggere le caratteristiche di una telecamera, questi dati sono contenuti all’interno del manuale d’istruzioni  e dovrebbero essere consegnati a corredo di ogni preventivo in modo che il cliente possa operare una scelta basata sia sul prezzo che sulla qualità del prodotto. Sicuramente tutti saranno in grado di capire perché, pur essendo entrambe delle automobili, una Ferrari costa più di un’utilitaria, lo stesso concetto andrebbe applicato alle telecamere, altrimenti, visto che non tutti siamo esperti di telecamere come lo siamo di automobili, potremmo rischiare di pagare un’utilitaria al prezzo di una Ferrari. 

Nella scheda sottostante vengono elencati i dati tecnici più comuni delle telecamere, cliccando sui link delle diverse sezioni verrete reindirizzati su di un paragrafo che spiega la caratteristica selezionata a fine lettura cliccando sul link “torna su” sarete riportati al punto di partenza. 

  

Produttore Scardaci Technology
 Model  xxxxxxxx 
   

Sensore d’immagine

 1/3″ Sony Super HAAD CCD II 

Pixel Totali / Effettivi (HxV)

795(H) x 596(V) / 752(H) x 582 (V)

Risoluzione Verticale

625 TVL

Risoluzione orizzontale

580 TVL Colore / 700 TVL B/W

 

 

Obiettivo Focale fissa

8 mm /F-stop 1,2

Obiettivo Varifocale

2,8-12 mm 

Obiettivo Grandangolare

4 mm 

Teleobiettivo

12 mm 

Obiettivo Zoom

 8X

Obiettivo Autofocus

Autofocus 

Obiettivo Autoiris

DC Drive / Video Drive

Obiettivo IR

IR 

Obiettivo Asferico

Obiettivo Asferico

Obiettivo Megapixel

Megapixel 

 Obiettivo supportato

C / CS / S

 

 
Segnale Video Pal / NTSC

Frequenza di scansione

Orizzontale 15.625 KHz / Verticale 50Hz

Scansione

2:1 Interlace

Sincronismo

Interno / Line Lock

Rapporto Segnale/Rumore

 >50 dB

Controllo Guadagno

Automatico Alto/Basso
   

Bilanciamento del Bianco

ATWB/PUSH/ESTERNO/INTERNO/MANUALE

Compensazione del Controluce

OFF/BLC/BLC AREA/HLC/WDR

Auto Electronic Shutter

 NTSC: 1/60s≈1/100.000s  PAL: 1/50s≈1/100.000s 

 

 

DSP

 DSP

OSD

Language…

Motion

ON/OFF

Privacy Mask

ON/OFF

Sharpness

ON/OFF

 

 

Illuminazione minima

 0,3 Lux (colori) / 0 Lux with IR Led in on (B/N)

Day&Night

ON / OFF

IR-CUT

Elettronico 

IR-CUT

Meccanico

DNR

ON/OFF

Smart IR Control

ON/OFF

Portata Illuminatore

40 metri

Lunghezza D’onda IR

850nm

Angolo di Vista Illuminatore

35°

 

 

Video Output

1Vpp, 75Ω

Uscita Audio

Sensibilità da 2≈5 m

Comunicazione 

RS485

 

 

Grado di protezione 

IP 66

Power/Current

DC 12V (±10%)/650 mA

Produttore/Modello

Il binomio produttore modello è un ottimo punto di partenza per fare delle ricerche su internet, sia sui siti commerciali che sui vari blog a carattere tecnico. Nell’ultimo decennio il mercato della videosorveglianza è stato pesantemente invaso da telecamere di origine ignota, made in China più che altro, che non hanno una marca ben precisa, ma vengono prodotte dall’azienda “xyz” e poi vengono importate, utilizzando delle unità di misura improprie, a quintali o a container, dai vari grossisti che successivamente le rimarcano con dei nomi di tendenza e le rivendono in tutta Italia, di conseguenza potreste trovarvi di fronte alla stessa telecamera, ma con un marchio differente. Con questo non voglio dire che tutto ciò che proviene dalla Cina deve necessariamente essere scadente, oggi, sopratutto nel campo dell’elettronica, qualsiasi cosa proviene dalla Cina e anche i Big della videosorveglianza, complice il basso costo della manodopera, preferiscono produrre nei paesi asiatici, la differenza consiste nel fatto che la telecamere commissionate dai marchi storici nascono da un progetto ben preciso che cura tutti gli aspetti del prodotto, dal design, ai materiali utilizzati per la realizzazione del corpo telecamera, alla qualità delle ottiche e dei componenti elettronici, e vincola il costruttore a degli standard di qualità elevati, difficilmente riscontrabili sulle linee di produzione generiche.  (torna su)

Sensore d’immagine

Il sensore d’immagine è il cuore della telecamera, il suo compito è quello di trasformare la luce in immagini. I dati salienti che caratterizzano questo componente sono:

  • Dimensione; questo parametro è rilevante ai fini della scelta dell’obiettivo, che deve essere delle stesse dimensioni del sensore o al massimo più grande. Dal punto di vista della qualità dell’immagine, a parità di risoluzione il sensore di dimensioni maggiori sarà più sensibile alla luce, questa differenza scaturisce dalle differenti dimensioni dei photosite, che saranno più piccoli sul sensore con minore superficie. La maggiore sensibilità alla luce si traduce in immagini di migliore qualità anche in condizioni di scarsa illuminazione.
  • CCD o CMOS; le tecnologie con cui vengono realizzati i sensori d’immagine sono prevalentemente due, CCD (Charge-coupled device) e CMOS (Complementary metal-oxide semiconduttor), non c’è un sensore che prevale sull’altro, ma le loro differenze li rendono più o meno utili per l’una o per l’alta applicazione. A favore dei sensori CCD possiamo dire che godono di una maggiore luminosità e di una maggiore immunità ai disturbi, di contro sono costosi ed hanno un maggiore assorbimento di energia. I sensori CMOS sono meno costosi, hanno un ingombro ridotto e consumano molto meno dei loro rivali, di contro soffrono di una scarsa luminosità e di una minore immunità ai disturbi. Una caratteristica che sta portando ad un utilizzo maggiore dei sensori CMOS è il modo in cui vengono acquisiti i Pixel. Infatti nei sensori CCD i pixel non vengono letti singolarmente ma a gruppi (righe o colonne), mentre nei sensori CMOS ogni pixel è dotato di una propria uscita e può essere acquisito singolarmente, caratteristica che li rende molto appetibili nelle applicazioni di videosorveglianza IP e HD over coax.
  • Pixel totali / Pixel effettivi; i pixel totali sono i pixel presenti sul sensore d’immagine, questo valore indica la risoluzione del sensore e si ottiene moltiplicando il numero di pixel della base per il numero di pixel dell’altezza. Non tutti i pixel del sensore concorrono alla formazione dell’immagine, da qui la differenza tra pixel totali ed effettivi, alcuni vengono utilizzati per ricavare delle informazioni sull’ambiente circostante, come ad esempio il livello di luminosità della scena, tale informazione viene inviata al DSP che per esempio può decidere di aumentare o ridurre la velocità dell’otturatore.
  • Risoluzione verticale; nelle telecamere analogiche la risoluzione non si misura in pixel ma in Linee TV (TVL), gli standard di codifica, a cui sono assoggettati i sistemi di videosorveglianza analogici, impongono una risoluziuone verticale fissa, che è pari a 625 TVL per i sistemi PAL e 525 TVL per i sistemi NTSC, quindi qualsiasi sia la qualità della telecamera analogica acquistata essa non potrà disporre di una risoluzione verticale maggiore di quella imposta dagli standard. Non tutte le linee che compongono il fotogramma sono utilizzate per rappresentare l’immagine alcune sono utilizzate per informazioni di sincronismo necessarie per la corretta rappresentazione del fotogramma da parte dei dispositivi di riproduzione, di conseguenza sui dati tecnici è possibile trovare le notazioni 576i per le camere in codifica PAL e 486i per quelle in codifica NTSC la lettera i indica il sistema di scansione che in questo caso è interlacciato.
  • Risoluzione orizzontale; il parametro su cui i costruttori possono giocare per creare dei prodotti più o meno performanti è la risoluzione orizzontale. Il concetto di risoluzione, nelle telecamere analogiche, è un po’ contorto ed io ancora oggi mi confondo; immaginate una griglia fatta da linee orizzontali e verticali, la risoluzione verticale è data dal numero di linee orizzontali che compongono la griglia, 625 nello standard PAL, mentre quella orizzontale è data dalle linee verticali, i punti di intersezione tra le linee orizzontali e verticali rappresentano i pixel. A questo punto è “facile” capire che, a parità di linee orizzontali, l’unico modo per aumentare i pixel del fotogramma è quello di aumentare il numero di linee verticali e quindi di intersezioni. Una buona telecamera deve avere una risoluzione orizzontale superiore alle 600 TVL. Nella scheda d’esempio riportata sopra avrete sicuramente notato una differenza di risoluzione tra la ripresa a colori e quella in bianco e nero, questa differenza nasce dal fatto che durante le riprese a colori l’area di rilevazione del sensore viene divisa in tre parti, utili a ricavare le tre componenti RGB (Red, Green, Blue), di conseguenza anche la risoluzione si riduce di circa 1/3. Nelle riprese in bianco e nero, invece, tutta la superficie del sensore viene utilizzata per catturare il fotogramma che di conseguenza avrà una maggiore risoluzione. (torna su)

Obiettivo

Il compito dell’obiettivo è quello di  di “catturare” la radiazione luminosa, presente all’interno della propria area di copertura, e di concentrarla sul  Punto Focale. Esistono differenti tipologie di obiettivo ognuna adatta ad un particolare tipo di utilizzo.

  • Obiettivo a Focale fissa; con il termine Focale si indica la distanza tra la parte finale posteriore dell’obiettivo e il punto focale, questa distanza è molto importante perché determina l’angolo di ripresa della telecamera. Il vantaggio di un obiettivo a focale fissa è sicuramente il basso costo, lo svantaggio è che se in futuro le nostre esigenze di ripresa dovessero cambiare dovremo sostituire l’obiettivo o, nella peggiore delle ipotesi, l’intera telecamera. Il parametro f-stop, chiamato rapporto focale, determina la luminosità dell’obiettivo e nasce dal rapporto tra la lunghezza focale e il diametro dell’apertura del diaframma. Pertanto a valori più bassi di f corrispondono aperture di diaframma più ampie e quindi obiettivi più luminosi.
  • Obiettivo varifocale; gli obiettivi varifocali possono variare la distanza focale tra un valore minimo ed uno massimo, variando, di conseguenza, l’angolo di ripresa. Questi obiettivi hanno un costo maggiore ma offrono il vantaggio di poter passare tranquillamente da una ripresa grandangolare ad una con un angolo più stretto aderendo perfettamente alle varie esigenze di ripresa.
  • Obiettivo Grandangolare; un obiettivo normale ha una focale pari a 8 mm e offre un angolo di ripresa di ≈33° che è più o meno lo stesso angolo coperto dall’occhio umano, da qui il termine normale, obiettivi con una focale minore di 8 mm, che offrono quindi un angolo di ripresa maggiore rispetto all’occhio umano, vengono detti grandangolari. I Fisheye, ad esempio, sono degli obiettivi particolari che hanno una focale inferiore a 2mm e offrono un angolo di ripresa di 180°. Naturalmente più l’angolo di ripresa aumenta e più gli oggetti ci sembreranno distanti e poco riconoscibili.
  • Teleobiettivo; obiettivi con una focale superiore agli 8mm che offrono quindi un angolo di ripresa inferiore rispetto all’occhio umano vengono definiti teleobiettivi, le immagini riprese con dei teleobiettivi hanno un angolo di ripresa ridotto a vantaggio dei dettagli che risulteranno più grandi e meglio riconoscibili.
  • Obiettivo Zoom; negli obiettivi zoom sia la distanza focale che la messa a fuoco possono essere variate in modo automatico grazie a dei motorini elettrici. questi obiettivi vengono installati sulle quelle telecamere che non hanno un target fisso, come nel caso delle dome o delle telecamere ad inseguimento, il cambio di focale può essere deciso da un operatore remoto, mediante un tastierino che comunica su bus seriale, o localmente dalla stessa telecamera nel caso si utilizzino funzioni IV (Intelligent Video). Spesso questi obiettivi vengono rappresentati da un valore che nasce dal rapporto tra la massima e la minima lunghezza focale selezionabile, prendendo l’esempio precedente 6-48 mm avremo 48/6=8 quindi il nostro obiettivo sarà un 8X.
  • Obiettivo Autofocus; gli autofocus sono degli obiettivi capaci di mettersi a fuoco in modo autonomo. Vengono preferiti in tutte quelle situazioni dove il target non è statico, ma soggetto a variazioni, come nelle telecamere brandeggiabili o in quelle ad inseguimento. La messa a fuoco viene effettuata da un motore elettrico che attua la rotazione dei gruppi ottici, facendoli allontanare o avvicinare dal piano focale.
  • Obiettivo Autoiris; questi obiettivi sono equipaggiati con un motorino che regola l’apertura del diaframma in base alla quantità di luce presente nell’ambiente circostante. L’apertura del diaframma viene stabilita in base a delle informazioni di luminosità contenute nell’immagine catturata dal sensore CCD, tali informazioni devono essere elaborate e trasformate in impulsi elettrici utili per il motorino che dovrà governare il diaframma. L’elettronica per elaborare le informazioni luminose può essere parte integrante dell’obiettivo, che in questo caso sarà un Video Drive, oppure trovarsi a bordo della telecamera , che in questo caso monterà un obiettivo DC Drive.
  • Obiettivo IR; un inconveniente tipico di quando si utilizzano delle telecamere all’infrarosso è quello dello spostamento del fuoco (Focus Shift), a causa del quale immagini perfettamente a fuoco di giorno risultano leggermente sfocate nelle riprese notturne. Questo tipo di aberrazione è causata dal fatto che il piano focale dell’infrarosso è leggermente spostato rispetto a quello della luce visibile, determinando uno sfocamento dell’immagine. Gli obiettivi IR tendono a ridurre questo effetto indesiderato, offrendo una messa a fuoco accettabile sia di giorno che di notte.
  • Obiettivo Asferico; Una aberrazione tipica delle lenti convesse è quella della differenza di fuoco tra il centro e i bordi dell’immagine, tale differenza è causata dalla geometria della lente e viene detta aberrazione sferica. In pratica i raggi che colpiscono il centro della lente non subiscono alcuna variazione, invece quelli che colpiscono i bordi vengono deviati, con un angolo che dipende dall’angolo di incidenza, e fatti convergere in punti leggermente spostati rispetto al piano focale, il risultato sarà un immagine a fuoco al centro e meno a fuoco via via che ci si avvicina ai bordi. Per attenuare il problema dell’aberrazione sferica si può ricorrere ad un restringimento del diaframma o all’utilizzo di lenti con geometria asferica.
  • Obiettivo Megapixel; un sensore d’immagine megapixel, a causa dell’elevato numero di fotodiodi disposti sulla sua superficie, necessita di una quantità maggiore di luce rispetto ai sensori tradizionali, per questo motivo le telecamere megapixel devono essere necessariamente equipaggiate con obiettivi megapixel che incrementano la quantità di luce incidente sul sensore.
  • Montaggio Obiettivo; nelle telecamere tradizionali, l’obiettivo non è un corpo unico con la telecamera, ma vi viene avvitato sopra. In base al tipo di montaggio distinguiamo tre categorie di obiettivi, C, CS ed S, che differiscono tra di loro per la distanza che c’è tra il retro della lente e il punto in cui si trova il sensore d’immagine. (torna su)

Segnale video

La natura del segnale video dipende dal tipo di codifica utilizzato dalla telecamera, in Italia e nella maggior parte dei paesi che utilizzano l’alimentazione elettrica a 50Hz, si utilizza la codifica PAL. La codifica PAL impone la trasmissione di 25 fotogrammi al secondo (50 campi), ogni fotogramma è composto da 625 linee di cui 576 (la notazione 576i indica un video interlacciato in codifica PAL) vengono utilizzate per la rappresentazione dell’immagine mentre le restanti vengono utilizzate per la trasmissione dei segnali di sincronismo e di altre informazioni di servizio. 

Frequenza di scansione

I segnali di sincronismo servono ai dispositivi di riproduzione per poter rappresentare correttamente un fotogramma, essi sono di due tipi: I blanking intervals verticali 50 Hz, utili per indicare al monitor l’inizio e la fine di ogni fotogramma, ed i blanking intervals orizzontali 15625 Hz, utili per indicare  al pennello elettronico l’inizio e la fine di ogni linea TV. Questi parametri sono superflui in quanto rigidamente imposti dal tipo di codifica utilizzato.

Scansione

Questo parametro indica il tipo di scansione utilizzato dalla telecamera, anche in questo caso la codifica Pal impone che il segnale sia interlacciato, la notazione 2:1 indica appunto che servono 2 campi per realizzare un fotogramma.

Sincronismo

Il sincronismo serve a sincronizzare tra di loro le varie componenti di un sistema di videosorveglianza. la frequenza di sincronismo può essere generata internamente dalla telecamera, sicronizzazione interna, oppure può essere ricavata dal segnale di alimentazione esterno. 

Rapporto segnale/rumore

Questo valore si misura in dB e nasce dal rapporto tra il segnale video ed il rumore in esso contenuto, il rumore può essere causato da diversi fattori: interferenze elettromagnetiche, bassa qualità dei circuiti della telecamera, elevate temperature ecc.. L’elevata presenza di rumore altera la qualità del segnale video e si manifesta sul monitor come una sorta di nebbia bianca. Nessuna telecamera è in grado di eliminare completamente il rumore, diciamo che una buona telecamera dovrebbe avere un rapporto segnale/rumore superiore ai 45 dB.

Controllo guadagno (AGC)

La funzione AGC (Automatic Gain Control) amplifica il segnale video quando scende al di sotto di un certo valore di soglia. Una tipica situazione che richiede l’intervento dell’AGC si ha quando si inquadrano degli ambienti scarsamente illuminati, purtroppo, oltre ad amplificare il segnale video, l’AGC amplifica anche il rumore presente in esso restituendo un fotogramma più luminoso ma allo stesso tempo più disturbato. (torna su)

Bilanciamento del bianco (AWB)

Ogni sorgente luminosa ha una differente tonalità o temperatura di colore, questa differenza influenza il nostro modo di percepire i colori e fa si che un oggetto bianco possa apparirci tendente al giallo, quando e illuminato da una luce calda, o tendente all’azzurro, quando è illuminato da una luce fredda. Anche le telecamere risentono della differenza di tonalità delle sorgenti luminose, ad esempio la luce solare ha una tonalità che và dal bianco, del cielo sereno a mezzogiorno, al rosso del cielo al tramonto. Lo scopo della funzione AWB (Automatic White Balance) è quello di adeguare la risposta cromatica della telecamera alle varie tonalità di colore della luce ambientale, per far questo corregge dapprima la tonalità delle parti bianche presenti nell’immagine e poi utilizza il riferimento ottenuto per correggere gli altri colori.

La funzione AWB offre diverse modalità di funzionamento, le opzioni disponibili sono:

ATWB (Auto Traking White Balance); questa funzione monitora costantemente la temperatura di colore della sorgente luminosa e attua dei settaggi automatici al fine di migliorare la resa cromatica della telecamera;

PUSH; tramite la pressione di un tasto è possibile selezionare il livello di bilanciamento del bianco desiderato al rilascio del tasto il valore sarà memorizzato dalla telecamera ed utilizzato per i confronti futuri;

Interno/Esterno; questa modalità fa si che la telecamera utilizzi dei settaggi preimpostati dal costruttore per l’utilizzo in ambienti esterni o interni;

MWB (Manual White Balance); se i valori bilanciamento preimpostati non soddisfano le esigenze di ripresa è possibile regolare manualmente i livelli di rosso e di blu; 

Compensazione del controluce (BLC)

La funzione BLC (Back Light Compensation) interviene quando all’interno della stessa scena si hanno zone esposte alla luce e zone in ombra. Fondamentalmente questa funzione si occupa di aumentare o diminuire la velocità dell’otturatore in modo da favorire al massimo la ripresa del soggetto in primo piano.

La funzione BLC offre diverse modalità di funzionamento, le opzioni più comuni sono:

BLC; questa funzione migliora le riprese in controluce rallentando la velocità dell’otturatore, in questo modo la parte dell’immagine illuminata andrà in sovraesposizione mentre quella in ombra, che si presume essere quella di interesse in quanto posizionata al centro dell’inquadratura, risulterà chiara e ben visibile;

BLC Area; la funzione è uguale a quella sopra descritta, con la differenza che in questo caso è possibile selezionare l’area di intervento;

HLC; La funzione HLC compensa il controluce mascherando le aree fortemente illuminate;

WDR; nel caso di inquadrature in controluce, con la funzione WDR in ON, il DSP esegue due scansioni per ogni fotogramma, nella prima scansione aumenta la velocità dello shutter, per riprendere le aree luminose, nella seconda la riduce per riprendere le aree più scure, il fotogramma finale viene ottenuto sommando le due scansioni e il risultato è un immagine dove si vedono chiaramente sia lo sfondo che il soggetto. Alcune telecamere offrono una funzione simile al WDR chiamata DWDR dove la compensazione del controluce avviene, con dei risultati nettamente inferiori, in modo elettronico. 

AES (Automatic Elettronic Shutter)

Questo parametro indica la velocità con cui la telecamera è in grado di campionare le immagini, nel caso di una telecamera PAL si passa da 50 campionamenti al secondo, in condizioni di luce normale, a 100.000 campionamenti al secondo nel caso di una forte intensità luminosa. Nel caso di telecamere a condensazione di fotogrammi lo shutter può anche andare molto al di sotto dei 50 fotogrammi al secondo, in modo da favorire le riprese in ambienti bui.  (torna su)

DSP (Digital Signal Processor)

Il Digital Signal Processor è un microprocessore che ha il compito di elaborare il segnale proveniente dal sensore d’immagine e di apportarvi delle migliorie. Il DSP è il cervello della telecamera, infatti oltre a migliorare la qualità delle immagini può, attraverso un software per l’analisi dei fotogrammi, offrire delle funzioni di IV (Intelligent Video), che prima venivano assolte esclusivamente da DVR (Digital Video Recorder), di fascia alta. I DSP più recenti offrono un menù OSD (On ScreenDisplay), attraverso il quale è possibile interagire con la telecamera e variarne il funzionamento. 

OSD (On Screen Display)

La funzione OSD consente all’utente di poter modificare alcune funzioni della telecamera agendo direttamente sul comportamento del DSP. L’interazione utente/telecamera avviene grazie ad un menù visualizzato sul monitor e ad un tastierino che ne modifica le opzioni. Il tastierino può essere installato a bordo della telecamera, cosa abbastanza scomoda, sopratutto quando si ha la necessità di apportare delle modifiche successive all’installazione, o remotizzato tramite bus RS485. 

Motion

La funzione motion consente all’utente di poter selezionare delle aree di interesse all’interno dell’immagine, la rilevazione di movimento all’interno di queste aree genera una risposta da parte della telecamera che può consistere nella chiusura di un contatto d’allarme, nell’attivazione di un segnale acustico o, come nel caso delle telecamere di rete, nell’avvio della registrazione. 

Privacy Mask

Questa funzione consente all’utente di poter mascherare, per motivi di privacy, delle aree all’interno dell’immagine, in modo che non vengano nè riprese nè, di conseguenza, registrate.

Sharpness

Questa funzione migliora elettronicamente la nitidezza dell’immagine, la regolazione di questo parametro necessita di un po’ di attenzione in quanto, un livello di correzione troppo elevato, potrebbe introdurre del rumore nel segnale video. (torna su)

Illuminazione minima

Questo parametro indica il minimo livello di luminosità con il quale può operare la telecamera, nel caso dell’esempio la telecamera è in grado di fornire un’immagine a colori fino al valore limite di 0,3 lx, dopodiché il DSP provvede alla rimozione del filtro e all’accensione dell’illuminatore infrarosso. Grazie agli illuminatori infrarossi è possibile effettuare delle riprese in assenza totale di luce, naturalmente a causa della rimozione del filtro le immagini saranno in bianco e nero.

Day/Night

Una telecamera in bianco e nero è nativamente capace di operare sia di giorno, in presenza di luce solare o artificiale, che di notte, in presenza di luce infrarossa. Le telecamere a colori, invece, possono riprendere solo in presenza di luce solare o artificiale, e questo a causa della presenza di un filtro che taglia la componente infrarossa presente nella luce visibile che altrimenti andrebbe ad alterare i colori dell’immagine. Le telecamere con funzione Day&Night, invece, sono una via di mezzo, infatti sono in grado di offrire delle immagini a colori di giorno e, grazie ad un dispositivo che rimuove il filtro IR-CUT, di poter sfruttare l’illuminazione infrarossa di notte. Ovviamente le immagini ottenute di notte saranno in bianco e nero. 

Le caratteristiche più comuni di una telecamera Day&Night sono le seguenti:

Day&Night; questa funzione, presente in telecamere di fascia bassa, consiste nell’installazione di un filtro IR-CUT che non scherma tutte le frequenze dell’infrarosso, ma ne lascia passare una piccola parte e più precisamente quelle con lunghezza d’onda pari a 850nm utilizzate negli illuminatori infrarossi. In questo caso si dice che il filtro infrarosso è di tipo elettronico, le telecamere che adottano questa soluzione hanno il vantaggio di un minor costo, di contro, a causa della presenza della componente infrarossa durante le riprese a colori, offrono una minore resa cromatica.

True Day&Night; questa funzione, tipica delle telecamere di fascia alta, consiste nell’installazione di un filtro altamente schermante che, grazie al movimento fornitogli da un piccolo motorino elettrico, comandato da un fotodiodo, può essere rimosso dal sensore durante le ore notturne per esservi poi riposizionato alle prime luci dell’alba. In questo caso il filtro e di tipo meccanico, le telecamere che adottano questa soluzione, a fronte di un costo maggiore, forniscono delle immagini cromaticamente fedeli ed inoltre possono funzionare con illuminatori infrarossi aventi lunghezza d’onda superiore agli 850nm.

DNR ; questa funzione riduce il rumore che si genera nel segnale video quando si riprendono delle scene scarsamente illuminate.

Smart IR; le telecamere dotate di questa funzione possono regolare, in modo autonomo, l’intensità della luce infrarossa emessa dall’illuminatore, in modo da ridurre l’effetto abbagliamento che si viene a creare quando l’infrarosso rimbalza su una superficie troppo vicina alla telecamera.

Portata illuminatore; questo parametro indica la massima distanza raggiungibile dall’illuminatore, naturalmente quando leggete che un illuminatore ha una portata di 25m non significa che avrete una vista perfetta fino al 25° metro, significa che vedrete bene fino a 15≈16m dopodiché il segnale andrà via via attenuandosi fino a 25m. Quindi se avete la necessità di riprendere una zona distande 25m la vostra scelta dovrà ricadere su una portata nominale di almeno 40m.

Lunghezza d’onda illuminatore; in base alla lunghezza d’onda emessa possiamo distinguere gli illuminatori in: visibili, semi-discreti e discreti. Gli illuminatori visibili emettono luce infrarossa in una banda compresa tra i 715 e i 730 nm, sono detti visibili perchè durante il funzionamento è possibile vedere la sorgente luminosa che assume un colore rosso intenso. Gli illuminatori semi-discreti emettono luce infrarossa in una banda compresa tra gli 815 e gli 850 nm, sono detti semi discreti perchè durante il funzionamento la sorgente luminosa un colore rossastro a bassa intensità. Gli illuminatori che emettono luce infrarossa in una banda compresa tra i 940 e i 950 nm vengono detti discreti, questo perchè anche ad illuminatore acceso la sorgente luminosa non emette nessuna radiazione visibile, il vantaggio di questi illuminatori è che sono di difficile individuazione e quindi difficilmente eludibili, di contro necessitano di telecamere più performanti in quanto più ci si allontana dallo spettro visibile (400-700 nm), più il sensore della telecamera dovrà essere sensibile alla luce.

Angolo di vista illuminatore; questo parametro indica l’angolo con il quale viene emessa la radiazione infrarossa. Per avere delle immagini uniformemente illuminate l’angolo di emissione deve coincidere con il campo di vista della telecamera, purtroppo questo aspetto viene molto spesso trascurato, come nel caso delle telecamere bullet dove illuminatori con un angolo di emissione fisso vengono abbinati a telecamere varifocali con angolo di copertura variabile. Oggi, esistono in commercio degli illuminatori detti adattivi nei quali è possibile variare l’angolo di emissione per adattarlo alle varie esigenze di ripresa. (torna su

Altri dati

Video Output; 1 Vpp/75Ω è una caratteristica fissa del videocomposito;

Audio; alcune telecamere possono essere dotate di ingressi e uscite audio per il monitoraggio ambientale;

Comunicazione; alcuni modelli di telecamere offrono la possibilità di poter essere gestite da un operatore remoto, la comunicazione può avvenire attraverso il bus RS485 o tramite altri protocolli;

Grado IP; questo parametro è molto importante perché ci dà delle informazioni utili a capire il tipo di ambiente in cui può operare la telecamera;

Power/Current; Indica il tipo di alimentazione elettrica richiesto dalla telecamera;  {jcomments on}(torna su

Automatic Elettronic Shutter

Prima di parlare dello shutter elettronico o otturatore, credo sia meglio spiegare la differenza tra un’immagine sovraesposta ed una sottoesposta. Un’immagine si dice sovraesposta (bruciata nel gergo fotografico), quando, a causa della troppa luce che passa attraverso l’obiettivo, appare molto chiara e i dettagli in corrispondenza delle zone più luminose risultano essere poco visibili. Al contrario, si dice che un immagine è sottoesposta quando, a causa della poca luce che passa attraverso l’obiettivo, appare molto scura e i dettagli in corrispondenza delle zone più scure risultano essere poco visibili. Anche l’occhio umano è sensibile alle variazioni luminose e per correggerle si affida ad un muscolo chiamato iride. L’iride, attraverso la variazione del suo diametro, regola la quantità di luce passante, cercando, per quanto possibile, di consentirci una visione ottimale in tutte le condizioni. Nelle telecamere, per evitare che le immagini siano sovra o sottoesposte, si ricorre a due metodi principali: la regolazione dell’apertura del diaframma (Vedi articolo sugli obiettivi), o, in caso di diaframma fisso, la regolazione del tempo di esposizione.

Nelle vecchie macchine fotografiche l’otturatore era un componente meccanico il cui compito era quello di aprirsi e richiudersi velocemente in modo da consentire, per un tempo più o meno breve, il passaggio della luce che avrebbe impresso la pellicola. Il tempo di apertura dell’otturatore o tempo di esposizione variava in base alle condizioni di luce, tempi brevi in ambienti luminosi, tempi più lunghi in ambienti bui.

Nelle telecamere l’otturatore non è una parte meccanica ma un componente elettronico, il suo compito è quello di leggere (campionare), ad intervalli regolari, il livello di carica di ogni fotodiodo. La frequenza con cui viene letta la carica sui fotodiodi viene stabilita dal DSP in base alla luminosità della scena, scene luminose frequenze di campionamento più alte, scene scarsamente illuminate frequenze di campionamento più basse. Le telecamere con shutter elettronico hanno raggiunto un buon livello di prestazione ed oggi si stanno affermando anche in quelle applicazioni dove, a causa della forte escursione luminosa, erano richieste esclusivamente telecamere con obiettivi autoiris.

Digital Signal Processor

Il  Digital Signal Processor è un microprocessore che ha il compito di elaborare il segnale proveniente dal sensore d’immagine e di apportarvi delle migliorie. Il DSP è il cervello della telecamera, infatti oltre a migliorare la qualità delle immagini può, attraverso un software per l’analisi dei fotogrammi, offrire delle funzioni di IV (Intelligent Video) che prima venivano assolte esclusivamente da DVR (Digital Video Recorder) di fascia alta. I DSP più recenti offrono un menù OSD (OScreen Display), attraverso il quale è possibile interagire con la telecamera  e variarne il funzionamento.

Parametri modificabili attraverso il menù OSD

AGC Automatic Gain Control) ossia controllo automatico del guadagno, questa funzione consente di amplificare il segnale video proveniente da una scena poco luminosa. Il vantaggio di questa funzione è che possiamo ottenere una buona visibilità anche in condizioni di scarsa luce, di contro, visto che l’amplificazione riguarda tutte le componenti del segnale, verranno amplificati anche gli ulteriori disturbi col risultato che avremo un immagine si più luminosa ma anche più disturbata. Nelle immagini sotto si può vedere la differenza che si ha tra AGC off a sinistra e AGC on a destra, l’immagine di sinistra è decisamente più scura, mentre quella di destra risulta più luminosa ma anche più disturbata.

AWB (Automatic White Balance), ossia bilanciamento automatico del bianco, questa funzione fa si che la telecamera riproduca il colore bianco sempre bianco. In pratica i colori di una scena possono subire delle variazioni che dipendono dalla fonte di luce che li illumina, se per esempio, caso estremo,  accendete una luce rossa dentro una stanza coi muri bianchi potrete vedere che il bianco non sarà più tanto bianco ma tenderà al rosso e così anche il colore degli altri oggetti presenti nella stanza. Con la funzione AWB in ON, grazie al confronto con dei valori precaricati, la telecamera cercherà di riprodurre correttamente il bianco e dopo, grazie al riferimento ottenuto, sarà in grado di rappresentare fedelmente anche gli altri colori presenti sulla scena. Le telecamere più performanti consentono, attraverso il menù OSD, di scegliere diversi valori di bilanciamento a seconda che la telecamera sia installata in ambienti esterni o interni. L’evoluzione dell’AWB è ATW  (Auto-Tracking-White balance),  questa funzione  monitora la temperatura di colore della scena inquadrata  ed opera dei settaggi automatici sul processore per bilanciare i livelli del bianco.

Risoluzione immagine

Il sensore d’immagine può essere paragonato al piano di una scacchiera dove ad ogni quadratino corrisponde un elemento fotosensibile. Moltiplicando i quadratini disposti lungo la base per quelli disposti lungo l’altezza si ottiene il numero totale di elementi fotosensibili distribuiti sulla superficie del sensore, ossia la sua risoluzione. La risoluzione viene espressa in pixel e più è alto questo valore più sarà elevata la qualità delle immagini acquisite.

Per capire il concetto di risoluzione provate a disegnare un rettangolo di 10×5 cm e dividetelo in tanti quadratini (photosite), di 1 cm di lato, ciò che otterrete sarà una griglia con 10 quadratini di base e 5 di altezza, moltiplicando questi valori avrete 10×5=50 pixel questo valore rappresenta la risoluzione, ossia il numero di photosite presenti sul sensore. Provate adesso a dividere lo stesso rettangolo 10×5 cm in tanti quadratini di 0,5 cm di lato, ciò che otterrete sarà una griglia con 20 quadratini di base e 10 di altezza, moltiplicando questi valori avrete 20×10=200 pixel.

Come potete vedere la risoluzione è quadruplicata e la dimensione fisica del photosite si è dimezzata, ma che significa? I photosite si possono paragonare alle tessere che compongono un mosaico, guardando le immagini sottostanti risulta subito evidente la differenza di dettaglio tra il mosaico realizzato con le tessere grandi (minore risoluzione), e quello realizzato con le tessere piccole (risoluzione maggiore), quindi possiamo concludere dicendo che più è alta la risoluzione, tanto maggiore sarà il dettaglio e la qualità dell’immagine ottenuta.

Pixel (Picture Element)

L’unità di misura della risoluzione è il pixel (picture element), e rappresenta il più piccolo dettaglio dell’immagine che può essere catturato dal sensore. La differenza con il photosite consiste nel fatto che il photosite è un componente hardware mentre il pixel è un dato informatico contenente le informazioni relative alla posizione e al colore di ogni photosite. A prima vista la differenza tra un immagine ad alta risoluzione ed una in bassa potrebbe non risultare subito evidente, ma se provate a zoommare vi accorgerete che quella in bassa risoluzione comincerà a “sgranarsi” già dopo qualche “per” (il per indica il livello di zoom x1, x2, x3 ecc.), mentre quella in alta risoluzione potrà essere ingrandita senza perdita, anzi potrebbero emergere dei dettagli non visibili in precedenza.

Sensore d’immagine

Il sensore d’immagine è un trasduttore che converte  il segnale luminoso, proveniente dall’obiettivo, in un segnale elettrico. Il sensore può essere paragonato al piano di una scacchiera, dove ad ogni quadratino corrisponde un elemento fotosensibile. In realtà, sarebbe meglio parlare di una matrice di silicio di base x ed altezza y, dove ogni quadratino è univocamente individuato da una coppia di valori (coordinate), che ne definiscono la posizione.

Photosite

Il singolo elemento della matrice viene chiamato photosite e rappresenta il più piccolo dettaglio dell’immagine che può essere catturato dal sensore. Il photosite è un “luogo fisico” sulla superficie del sensore ed è costituito dall’elemento fotosensibile, dal filtro e dalla lente.

Elemento fotosensibile o Photodetector

L’elemento fotosensibile ha il compito di trasformare un flusso luminoso in un segnale elettrico. La conversione luce/corrente avviene per mezzo di un fotodiodo che fornisce un valore di corrente proporzionale alla quantità di luce che lo investe e al tempo per cui vi rimane esposto (tempo di esposizione). Il dato catturato dal fotodiodo conterrà solamente le informazioni relative all’intensità luminosa e non al colore.

Filtro

L’immagine ottenuta utilizzando i dati provenienti dai photodetector è in bianco e nero per ottenere delle immagini a colori si ricorre all’utilizzo di particolari filtri (Filtro di Bayer), che oltre a catturare i livelli di luminosità catturano anche le informazioni relative ai livelli cromatici. Il filtro  consiste in una griglia colorata  che sovrasta il sensore, ogni elemento della griglia viene fatto corrispondere ad un photosite ed è realizzato in modo da filtrare solo una determinata frequenza di colore. I colori utilizzati sono quelli primari del metodo RGB  il rosso (Red) il verde (Green) ed il blu (Blue). Grazie a questa griglia ogni photodetector catturerà l’informazione relativa ad un unica tonalità di colore, tale informazione però non basta a rappresentare il colore  di quel punto dell’immagine, esso infatti verrà ottenuto tramite interpolazione. In pratica la griglia viene realizzata in modo che ogni filtro colorato risulti adiacente ad altri due filtri di colore diverso. Il colore di quel punto dell’immagine viene ottenuto grazie ad un particolare software che tramite un processo, chiamato interpolazione, combina i livelli cromatici dei tre fotodiodi adiacenti e ne ottiene un colore nuovo, un po’ come si faceva a scuola quando si mischiavano dei colori per ottenerne altri. Quindi per ottenere il colore di un pixel in realtà ne servono tre ed ecco spiegato il motivo per cui le telecamere in bianco e nero hanno una risoluzione maggiore di quelle a colori.

La lente

Il continuo progresso delle tecnologie di costruzione ha reso possibile la realizzazione di sensori che, a parità di dimensioni, possono contenere da qualche migliaio a qualche milione di photosite. Maggiore è il numero di photosite disposti sul sensore maggiore sarà la risoluzione dell’immagine ottenuta, di contro l’eccessivo affollamento riduce  la quantità di luce a disposizione di ogni elemento fotosensibile, il che pregiudica il funzionamento della telecamera in condizioni di scarsa luminosità. Per ovviare a questo problema ogni photosite è stato dotato di una microlente che amplifica la luce incidente sul photodetector. Questa tecnologia si chiama “on chip microlenses” ed è stata introdotta dalla Sony, ne è un validissimo esempio il sensore “Sony Super HAD” utilizzato sui propri prodotti da diversi fabbricanti di telecamere.

Obiettivi per telecamere

Prima di cominciare a parlare degli obiettivi per telecamere e delle loro caratteristiche, credo sia meglio spiegare cos’è un immagine e quali sono le analogie tra un obiettivo e l’occhio umano. Cominciamo col dire che la condizione necessaria per vedere è che nell’ambiente circostante ci sia della luce. Il termine luce (dal latino lux), si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall’occhio umano ed è approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d’onda, ovvero tra 790 e 435 THz di frequenza. Questo intervallo coincide con il centro della regione spettrale della luce emessa dal sole che riesce ad arrivare al suolo attraverso l’atmosfera. La presenza contemporanea di tutte le lunghezze d’onda visibili forma la luce bianca. La luce, come tutte le onde elettromagnetiche, interagisce con la materia, i fenomeni che più comunemente influenzano o impediscono la trasmissione della luce attraverso la materia sono: l’assorbimento, la diffusione (scattering), la riflessione speculare o diffusa, la rifrazione e la diffrazione. La riflessione diffusa da parte delle superfici, da sola o combinata con l’assorbimento, è il principale meccanismo attraverso il quale gli oggetti si rivelano ai nostri occhi, mentre la diffusione, causata dall’atmosfera, è responsabile della luminosità del cielo. L’occhio è l’organo di senso principale dell’apparato visivo ed ha il compito di ricavare informazioni sull’ambiente circostante attraverso la luce. L’occhio raccoglie la luce che gli proviene dall’ambiente, ne regola l’intensità attraverso un diaframma (l’iride), la focalizza attraverso un sistema regolabile di lenti (cristallino/cornea), e la trasforma in una serie di segnali elettrici che attraverso il nervo ottico vengono inviati al cervello per l’elaborazione e l’interpretazione. Anche l’obiettivo, come l’occhio umano, è dotato di un iride e di un sistema di focalizzazione ed è proprio in base a come vengono gestiti questi due parametri ed alla qualità delle lenti, che un obbiettivo può risultare più o meno valido per certe applicazioni e più o meno costoso.

Le lenti

Generalmente vengono usate delle lenti convesse che grazie alla loro forma geometrica hanno la caratteristica ideale di far convergere tutta la luce sul punto focale, dico ideale perché questa affermazione risulta vera solo quando i raggi luminosi che investono la lente sono paralleli tra di loro, raggi di questo tipo sono quelli emessi dal sole o dalle montagne in lontananza. Nella realtà i raggi investono l’obiettivo con molteplici angolazioni causando svariati tipi di aberrazioni ottiche. Col termine aberrazione si intende una differenza tra il comportamento reale di una lente e quello ideale, tali differenze sono provocate da leggi fisiche che governano la propagazione della luce e neanche la migliore delle lenti riesce ad eliminarle del tutto. Un’aberrazione tipica delle lenti convesse è quella della differenza di fuoco tra il centro e i bordi dell’immagine, tale differenza è causata dalla geometria della lente e viene detta aberrazione sferica. In pratica i raggi che colpiscono il centro della lente non subiscono alcuna variazione, invece quelli che colpiscono i bordi vengono deviati, con un angolo che dipende dall’angolo di incidenza, e fatti convergere in punti leggermente spostati rispetto al piano focale, il risultato sarà un immagine a fuoco al centro e meno a fuoco via via che ci si avvicina ai bordi. Per attenuare il problema dell’aberrazione sferica si può ricorrere ad un restringimento del diaframma o all’utilizzo di lenti con geometria asferica. Le lenti asferiche sono disegnate in modo che i raggi periferici, qualsiasi sia l’angolo di incidenza, vengano comunque convogliati verso il punto focale. Un altro parametro che individua la qualità di una lente è il materiale di cui è costituita che può essere il vetro (normale, Crown, Flint ecc), un cristallo minerale come il quarzo o il berillo, o un materiale plastico. La scelta è funzione della destinazione d’uso, dello spettro elettromagnetico trattato, della robustezza e deformabilità meccanica, della riduzione delle aberrazioni e soprattutto del costo finale. Il costo di una lente sale notevolmente con l’aumentare della qualità ottica dovuta alla purezza dei materiali e alle particolari lavorazioni della superficie.

Dimensione

La dimensione dell’obiettivo viene stabilita in base al sensore CCD su cui deve proiettare l’immagine e visto che esistono sensori da 1/2″, 1/3″, 1/4″ etc., esisteranno ottiche da 1/2″, 1/3″, 1/4″ etc.. Abbinando ad esempio un obiettivo da 1/2″ ad un CCD da 1/2″ si avrà la certezza che l’immagine ricreata sul piano focale sarà interamente catturata dal sensore, se invece abbinassimo un obiettivo da 1/2″ ad un sensore da un 1/3″ parte dell’immagine ricreata sul piano focale cadrebbe fuori dal sensore e andrebbe persa, al contrario un obiettivo da 1/3″ abbinato ad un sensore da 1/2″ proietterebbe sul piano focale un’immagine troppo piccola ed il risultato a video sarebbe un’immagine con gli angoli arrotondati.

La focale

La focale di un obiettivo è rappresentata dalla distanza in millimetri tra la lente ed il punto in cui essa è in grado di ricreare un’immagine a fuoco della zona ripresa. Questo parametro viene indicato con la lettera ” F ” ed insieme alle dimensioni del sensore CCD concorre a determinare l’angolo di vista orizzontale, tale parametro influenza direttamente la larghezza della ripresa. L’angolo di vista è direttamente proporzionale alla dimensione del CCD (sensore più grande angolo di vista maggiore), ed inversamente proporzionale alla lunghezza focale. A parità di sensore CCD una focale lunga ci darà un angolo di vista ristretto mentre una focale corta ci darà un angolo di vista più ampio. Per capire meglio provate a praticare un foro su un pezzo di cartone e a guardarci attraverso, avvicinando l’occhio al buco vedrete un’area maggiore se invece lo allontanate vedrete un area minore. In base al valore della focale si possono individuare tre tipologie di obiettivo: normale, grandangolare, teleobiettivo.

Obiettivo normale

Un obiettivo con una focale di 4 mm abbinato ad un CCD da 1/3″ fornisce un angolo di vista di ≈ 30°, che è lo stesso fornito dall’occhio umano, tale obiettivo viene definito “normale”.

Obiettivo grandangolare

Obiettivi con una focale minore di 4 mm offrono un angolo di vista maggiore e vengono chiamati grandangolari. A parità di dimensioni del sensore CCD l’obiettivo grandangolare fa il modo di concentrare sul sensore una quantità di spazio maggiore rispetto al “normale” per far questo rimpicciolisce le immagini col risultato che gli oggetti osservati risultano essere più piccoli, più lontani e meno dettagliati. Con focali minori di 2.5 mm le immagini potrebbero apparire un pò distorte questo effetto si chiama “fisheye” e viene oggi usato per realizzare delle telecamere con un angolo di vista compreso tra i 180° e i 360°. Il termine fisheye deriva dal fatto che l’inquadratura sembra essere fatta dall’occhio di un pesce, queste telecamere sono altamente tecnologiche e possono fornire una visione a 180° se montate a parete o a 360° se montate a soffitto, l’area ripresa può essere vista su di un monitor nella sua interezza o suddivisa in quattro aree più piccole, simulando la presenza di quattro telecamere.

Segnale CVBS

Nelle vecchie proiezioni cinematografiche i video venivano realizzati grazie all’utilizzo di una pellicola sulla quale erano stati impressi, mediante delle tecniche fotografiche, migliaia di fotogrammi. Questi fotogrammi, riprodotti in rapida successione, davano allo spettatore la percezione del movimento. Oggi il progresso tecnologico ha modificato profondamente le tecniche di acquisizione, riproduzione ed archiviazione delle immagini, ma il concetto di video è rimasto invariato, ossia realizzato mediante la riproduzione in rapida successione di una sequenza di fotogrammi.

Per poter trasmettere un segnale video bisogna che quest’ultimo venga convertito in un segnale elettrico con determinate caratteristiche, i sistemi di videosorveglianza hanno adottato una tecnologia nata per la trasmissione dei segnali TV, ossia quella del video composito. Un segnale video composito è un segnale analogico con uno spettro di frequenza che va dai 50Hz ai 5,3MHz ed un’ampiezza, tra il suo picco massimo e quello minimo, di 1Volt. All’interno di questo segnale vengono allocate, su bande di frequenza diverse, tutte le informazioni: sincronismo, luminanza, crominanza, audio ecc., utili alla riproduzione del video. Come vedremo nei paragrafi successivi un video per essere trasmesso, archiviato e riprodotto, deve attenersi a particolari regole di codifica. Gli standard di codifica più diffusi sono la codifica PAL (Phase Alternating Line) e quella NTSC (National Television Sistem Committee), la scelta di adottare un tipo di codifica piuttosto che un altro viene fatta in funzione della frequenza della corrente elettrica di alimentazione, per cui useremo lo standard PAL nei paesi che usano la corrente alternata ad una frequenza di 50 Hz, Italia, Spagna, Portogallo ecc., e quello NTSC nei paesi che usano la corrente alternata ad una frequenza di 60Hz, Canada, Messico, USA. Per completezza è giusto dire che esiste un terzo tipo di codifica sviluppato dai francesi, anch’esso basato su una corrente alternata a 50 Hz, chiamato SECAM (SÉquentiel Couleur À Mémoire).

Linea TV

Prima di parlare di codifica credo sia meglio spiegare il significato del termine Linea TV. Nell’articolo sul CCD abbiamo visto che esso è ricoperto da una griglia di fotodiodi che hanno il compito di catturare le informazioni relative alla luminanza e alla crominanza di quel punto della scena, queste informazioni, associate alla posizione fisica del fotodiodo sul sensore, danno vita ad un dato chiamato pixel (picture element). In realtà, nei sistemi di videosorveglianza tradizionali (analogici), il pixel in sé conta poco, infatti il segnale elettrico inviato sul cavo non contiene l’informazione relativa ad un unico pixel, ma bensì, ad una linea di essi chiamata linea TV. La scelta di lavorare con le linee TV non è casuale ma è stata fatta per venire incontro ai vecchi dispositivi di riproduzione, quali i famosi ed ormai obsoleti monitor a tubo catodico o CRT (Cathode Ray Tube).

Il tubo catodico è costituito da un imbuto di vetro che nella parte più stretta alloggia un cannone ad elettroni e in quella più larga alloggia lo schermo. Il compito del cannone è quello di emettere un sottile fascio di elettroni in direzione del pannello frontale. All’interno del pannello frontale i pixel sono realizzati mediante deposito di fosfori, questi materiali hanno le proprietà della fluorescenza, cioè si illuminano quando assorbono delle radiazioni, e della fosforescenza, cioè una volta cessata la radiazione che li ha accesi continuano, per un breve periodo, ad emettere della luce. L’intensità del fascio di elettroni viene modulata dal segnale video in ingresso, la scansione di tutti i pixel avviene grazie a degli elettromagneti che basandosi sulle informazioni di sincronismo contenute nel segnale video generano dei campi magnetici, più o meno intensi, capaci di indirizzare il fascio verso qualsiasi punto dello schermo.

Quando inviamo un fotogramma ad un monitor CRT, questo non viene rappresentato istantaneamente ma una riga alla volta dall’alto verso il basso; in pratica il cannone ad elettroni, chiamato anche pennello elettronico, comincia con l’accensione del primo pixel sulla sinistra dello schermo, poi del secondo, del terzo e così via fino al completamento di una riga orizzontale, dopodiché torna indietro e ricomincia col primo pixel della riga successiva, questo movimento, simile a quello del carrello di una vecchia macchina da scrivere, viene definito scansione. In base all’ordine con cui vengono accese le linee del monitor possiamo distinguere due tipi di scansione, quella interlacciata e quella progressiva.

Guida videosorveglianza

Nell’ultimo decennio le installazioni di  sistemi di videosorveglianza hanno subito un incremento esponenziale, in passato questa tipologia di impianto era appannaggio di attività commerciali di un certo tipo o di residenze facoltose, adesso, complice anche un significativo abbassamento dei prezzi ed un miglioramento sostanziale delle tecnologie utilizzate, tutti possono avere il proprio impianto realizzato su misura.

Quindi perché  privarsi di uno strumento cosi efficace? Non dimentichiamo  che un sistema di videosorveglianza ha un grande effetto deterrente e che grazie a questi dispositivi, di cui anche  gli enti comunali si sono dotati, per la sorveglianza di strade, piazze e altre aree sensibili, i crimini rimasti impuniti si sono di molto ridotti. Uno dei vantaggi offerti dai moderni sistemi di videosorveglianza è quello di poter essere contattati e gestiti tramite internet, attraverso l’utilizzo di PC, tablet o cellulari di ultima generazione, dando all’utenza la possibilità di poter controllare in tempo reale e da qualsiasi luogo i propri interessi. Supponete di essere in vacanza e di ricevere all’improvviso una  chiamata dal vostro sistema di sicurezza che vi segnala un tentativo di furto, in passato avreste dovuto correre verso la vostra casa/negozio o avreste dovuto vivere ore di angoscia nell’attesa che un parente, a seguito di un sopralluogo, vi tranquillizzasse, oggi vi basterebbe lanciare un app dal vostro cellulare e vedere in realtime quanto accade, inoltre, grazie alla possibilità di eseguire comandi remoti, potreste accendere delle luci, far suonare una sirena o attivare l’ascolto ambientale. 

Il mercato della TVCC (TV Circuito Chiuso) offre tantissime soluzioni e i prezzi, a parità di dimensioni del sistema, possono variare da qualche centinaio  a qualche migliaio di euro, questa differenza viene dettata dalle esigenze del cliente e dalla qualità dei componenti installati.

Gli articoli di questa guida hanno lo scopo di dare all’utente finale degli strumenti che possano aiutarlo a scegliere un impianto secondo le proprie necessità e a capire quali sono i parametri tecnici che fanno  la differenza tra un buon e quindi costoso sistema TVCC  e quei sistemi amatoriali che, sempre più spesso, vengono rifilati al cliente come sistemi avanzatissimi prodotti con tecnologia quasi extraterrestre.

Di seguito elenco alcuni punti da valutare in caso di acquisto di un sistema TVCC:

  • Budget: cioè la cifra che siete disposti ad investire per il vostro impianto, tenete presente che il costo di installazione è uguale indipendentemente dal tipo di telecamera scelta, quindi quando cercate un risparmio esagerato lo fate sulla vostra pelle e sul prodotto che vi mettete in casa, come dice il saggio  “chi più spende meno spende”.
  • Numero di telecamere: Questo parametro influisce molto sul costo finale dell’impianto, infatti maggiore è il numero delle telecamere e maggiori saranno i costi per la realizzazione del cablaggio e per l’acquisto delle apparecchiature. Il costo del DVR dipende anche dal numero di telecamere supportate, i tagli sono: 4, 8, 16 e 32 ingressi. Anche se inizialmente più costoso, bisognerebbe dimensionare il DVR in modo che l’impianto possa sostenere ampliamenti futuri senza particolari problematiche.
  • Utilizzo del sistema: se ad esempio vi serve un sistema per verificare la presenza di un tir davanti al carraio della vostra azienda o per verificare la presenza di persone all’interno di un area e non siete interessati ai dettagli tipo la targa o il volto, allora potete optare per un sistema di videosorveglianza analogico che offre delle  prestazioni accettabili ad un costo “contenuto”. Se invece siete interessati ad un sistema che faccia delle inquadrature panoramiche ma che vi dia la possibilità di ingrandire i dettagli, fino a  riconoscere un volto o leggere una targa, allora la vostra scelta dovrà necessariamente ricadere su un sistema, analogico o IP, con telecamere Megapixel;
  • Cablaggio: La stesura di cavi in luoghi privi di predisposizione può risultare abbastanza onerosa, quindi bisogna valutare se sia più conveniente realizzare un cablaggio con cavo coassiale per un sistema analogico o,  una rete LAN per un sistema IP. Premesso che il cavo resta ancora la soluzione più affidabile, nel caso si avesse la necessità di installare una o più  telecamere in una posizione remota potrebbe essere conveniente, in presenza di almeno un punto di alimentazione 220V, valutare l’installazione di periferiche via radio, che grazie alla trasmissione digitale offrono delle buone prestazioni su tratte abbastanza lunghe (~150 m in aria libera);
  • Luogo d’installazione: Il luogo d’installazione influenza la scelta del tipo di telecamera e di conseguenza il costo complessivo dell’impianto, ad esempio volendo installare delle telecamere in esterno bisognerà prevedere i costi per l’acquisto di  custodie protettive  con un adeguato grado IP (international protection), di eventuali illuminatori infrarossi per riprese notturne ecc..

Lettori biometrici

Lettori Biometrici

Nelle applicazioni che richiedono un elevato livello di sicurezza il riconoscimento dell’individuo avviene mediante l’analisi delle sue caratteristiche biometriche. Ogni individuo ha delle caratteristiche fisiologiche e comportamentali proprie ed irripetibili, col termine biometria (dalle parole greche bìos = “vita” e métron = “conteggio” o “misura”), si indica la scienza che studia queste caratteristiche. I sistemi di riconoscimento biometrico analizzano prevalentemente le caratteristiche fisiologiche che hanno la proprietà di rimanere inalterate nel tempo, al contrario di quelle comportamentali che possono essere influenzate dallo stato psicofisico del soggetto.

Tra le caratteristiche biometriche fisiologiche troviamo: la vascolarizzazione della retina, il colore e la dimensione dell’iride, il palmo della mano, la sagoma della mano e l’impronta digitale. Ognuna di queste caratteristiche può essere utilizzata per identificare in modo certo un individuo, tuttavia, un po’ per il costo inferiore delle apparecchiature, un po’ per la bassa invasività percepita (la scansione della retina, ad esempio, è percepita come molto invasiva), la tecnica di riconoscimento più diffusa è quella della scansione dell’impronta digitale.

La lettura delle impronte digitali è ritenuta un sistema di identificazione molto affidabile in quanto soddisfa a pieno i seguenti principi:

  • Immutabilità; il disegno delle impronte rimane immutato durante tutto il corso della vita e anche in caso di leggeri traumi l’impronta tende a riprendere il suo stato iniziale.
  • Unicità; Fino ad oggi non sono mai state rilevate due impronte digitali uguali, ne sulle dita di una stessa mano e ne, tanto meno, sulle dita di individui differenti.
  • Classificazione; L’andamento delle linee che formano un’impronta digitale può assumere un numero finito di schemi, questo ha reso possibile poter suddividere le impronte in cinque classi di appartenenza. L’utilizzo delle classi semplifica il lavoro del software di riconoscimento, in quanto i confronti vengono eseguiti solo tra le impronte appartenenti alla stessa classe, e riduce i tempi di risposta del sistema.

Minuzie

Le linee che compongono le impronte digitali non sono continue e parallele ma presentano delle irregolarità, ad esempio possono terminare improvvisamente, si possono dividere, possono incrociarsi ecc., queste irregolarità vengono chiamate minuzie e sono le caratteristiche principali che rendono unica l’impronta.

Acquisizione dell’impronta

Nei sistemi per il controllo degli accessi, l’impronta viene acquisita appoggiando il polpastrello su un lettore ottico. Per aumentare le probabilità di riconoscimento la lettura del dito viene fatta più volte, in modo che il software possa ottenere un modello più elastico, che tenga conto delle differenti modalità con cui il dito viene appoggiato sul lettore e di un’eventuale presenza di rumore nell’immagine dell’impronta.

Template

Una volta acquisita l’impronta il software individua le minuzie e ne memorizza tipologia e coordinate spaziali, per questioni di privacy queste informazioni vengono processate da un algoritmo proprietario, che ha il compito di creare un modello dell’impronta chiamato template. I template possono essere messi a confronto solo dall’algoritmo che li ha generati, inoltre, sempre per il rispetto della privacy, non è possibile fare il processo inverso, ossia partire dal template per riprodurre l’impronta che lo ha generato. Il punto di forza del template è che esso rappresenta un dato utile al riconoscimento dell’individuo e dal quale non è possibile, facendo il procedimento inverso, riottenere l’impronta digitale di partenza.

Identificazione/Riconoscimento.

Le modalità con cui un sistema biometrico accerta l’identità di un individuo sono l’identificazione e il riconoscimento.

  • In modalità identificazione il template viene memorizzato su di un badge RFID di proprietà dell’utente, il compito del sistema è quello di fare un confronto 1:1 tra il dato ottenuto dal lettore e quello memorizzato sul badge. Questa modalità richiede hardware e software meno complessi, inoltre, in virtù del fatto che il template resta comunque in possesso dell’utente, è percepita come meno lesiva della privacy.
  • In modalità riconoscimento, invece, il template viene memorizzato in un database assieme a quello di centinaia di altri utenti. In questo caso, prima di consentire o negare l’accesso, il sistema deve eseguire una verifica 1:N tra l’impronta dell’utente e quelle contenute nel database. In un sistema di questo tipo, sicuramente molto più complesso del precedente, diventa fondamentale poter disporre di algoritmi avanzati, capaci di limitare il numero dei confronti ed il tempo richiesto per effettuarli.
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